Leggendo l’opera di Alberto Orioli
Eleganti totem di parole, parole stampate ritagliate, segni universali che parlano le lingue del mondo disegnano i pannelli di Alberto Orioli. La parola tipografica riveste viti che trafiggono lo spazio bidimensionale della tavola, sbalzandola violentemente nella terza dimensione, intrecciando trame spaziali con reti e bulloni, c’è anche il colore, anzi il non colore: bianco e nero, spesso elegantemente accostati a spazi rosso lacca, composizioni dall'intenso richiamo della pittura segnica giapponese. L'artista ogni artista guarda se stesso sulla tela, Alberto Orioli é anzitutto un uomo di scrittura, per mestiere e per vocazione è un giornalista, non possiamo tacere chi siamo e da dove veniamo, e certamente quel milieu di montesquiana memoria diventa ispirazione, intuito, visione. Le sue costruzioni sono estremamente sofisticate, raffinate composizioni di materia, spazio e conoscenza.
Non si può guardare le opere di Orioli senza venire sopraffatti da molteplici visioni, flash di pittura e letteratura, i più rivoluzionari e innovativi dalla fine dell’800 fino ai vitalissimi anni'60. Mi riferisco alle sovrapposizioni e intersezioni tra parola scritta e segno pittorico, iniziando dalla sperimentazione del poeta simbolista Mallarme', scivolando agli inizi del '900 con i rivoluzionari Apollinaire, Bréton, Tzara, Valéry, le sperimentazioni dei Futuristi, le Parole in libertà di G.F. Marinetti non soggiaciono più alla costrizione orizzontale della riga, la parola libera disegna lo spazio della pagina bianca, libera da obblighi grammaticali e convenzionali. In pittura la rivoluzione e' nel soggetto, nel modo di concepire l'opera e l'arte: quando le pagine del giornale diventano icona pittorica, potentissima, irriverente e ancora oggi portatrice di significato, penso agli Accident car di Andy Warhol, certo, alle parole fumetto di Roy Lichtestein. La parola entra nell'opera Pop attraverso l'antica tecnica orientale di stampa come la serigrafia, dipinta o battuta a macchina, come nella Poesia Visiva degli anni '’60 del secolo scorso. Lo scrittore sconfina dalla pagina alla tela, numerosi poeti a Firenze, Roma e Milano si sono confrontati nella sperimentazione grafica, immagini, ritagli, collage, sono la forma esplicativa della Poesia Visiva. Ricordiamo le composizioni di Emilio Villa, Ugo Carrega, che ci ricorda che tutto è linguaggio,(…)un sasso è una parola; un segno su di una pagina è un sasso grafico, il linguaggio è tutto. (da 10 Proposizioni per la Poesia Materica, U. Carrega 1968). La pittura e' un'idea, un concetto, si esprime, si racconta attraverso il segno convenzionale della parola che a sua volta accostata ad altre disegna forme geometriche, costruisce visioni, virtuosismi come nelle opere di Emilio Isgro', Ketty la Rocca, Gastone Novelli, Mimmo Rotella, Claudio Parmiggiani. La parola stampata è sui manifesti cinematografici, su quelli pubblicitari incollati ai muri delle nostre città, strappati e rielaborati nei dècollages di Rotella, reinterpretazione del consumismo portato alla ribalta dalla Pop Art americana. Il pittore come il musicista si confronta con il segno, la parola significante ed evocativa, ricordiamone l’importanza per alcuni aderenti al gruppo Fluxus: Ben Vautier, Giuseppe Chiari. Penso al valore dell'artista vate Joseph Beuys, per cui la parola, il gesto diventano il mezzo per espletare la propria performance, mezzo di comunicazione istantaneo portatore di valori etici, morali e politici. Penso alla parola scritta dai tubi - neon, luce che interroga e stupisce lo spettatore, di cui si serve Joseph Kosuth, rinomato esponente dell’Arte Concettuale, o di Mario Merz, le targhe epitaffio di Marcel Broodthaers e di Salvo.
Orioli mescola idiomi, ritagli di carta stampata di paesi lontani, li sceglie, li accosta, seleziona titoli e sottotitoli, redige e impagina sulla tavola come su un menabò la sua opera. Nulla è lasciato al caso, quel pezzo di giornale, quello spaccato di cronaca, “pezzi” di realtà, di storia diventano un mosaico raffinato, negli accostamenti cromatici delle carte colorate, negli arabeschi delle lingue semitiche e orientali, disegnando i suoi Menabò. Possiamo leggere così l’opera intitolata Old Economy 1: una grossa vite su un piccolo quadrato dorato, fulcro che irraggia energia, diagonali di ritagli stampa egiziani e arabi che arrivano da lontano nella prospettiva centrica di Orioli, illuminano lo sguardo dello spettatore con pennellate rosso lacca cinese, misurate, concentriche, che bagnano i volumi delle rondelle e dei bulloni sottostanti. Come un labirinto le parole si rincorrono, a costruire il totem A margine 2 e se l’opera risucchia il nostro sguardo nella parte inferiore, ci colpisce e attrae come un occhio ipnotico il grande cerchio rosso trafitto da una grossa vite di parole, avviluppata com’è da tanti ritagli stampa incollati. Alberto Orioli vive di informazioni, notizie da cercare, esautorare e raccontare, in una quotidianità determinata dall’andamento dei mercati internazionali, dalla lettura di grafici che raccontano le disfatte contemporanee del nostro paese, non può bastare scorrere con il dito su schermi sempre più perfetti, che ci stanno facendo dimenticare il profumo della carta stampata e la leggerezza di leggersi il giornale, anche magari impacciati dal piegare le pagine, in un momento-pausa della nostra giornata. Non dobbiamo dimenticare che sempre più perdiamo la conoscenza e le sensazioni del fare, bruciamo tutto, non abbiamo il tempo di fermarci a riflettere, a pensare a quanta esperienza e lavoro c’è dietro ogni mestiere. Così quei fogli di carta continuano a vivere, prima di venire gettati a fine giornata, possono godere dell’eternità che solo l’arte può dare, quelle parole tagliate, incollate attorcigliate continuano a venire lette, ad avere valore. Gridano le tavole di Orioli, hanno una voce precisa, la parola arriva più potente incollata così come la troviamo avviluppata alle viti, arriva più distante come raggi di vibrazioni sonore le parole irradiano da un fulcro come in Scoop 2 o come in Senza titolo 52.53. Le parole di carta sono i colori della tavolozza e i pennelli di Alberto Orioli e ricordando una bella riflessione di Carrubba dedicata alla sua opera, nell’epoca della globalizzazione e dell’uso massivo dei social Network, queste tavole ci portano a casa, ci ricordano chi siamo e da dove veniamo. Mi piace vedere, anzi leggere queste opere come tavole sinottiche di vita vissuta. Concludo con una citazione sul valore della parola e della scrittura
“se una parola sbaglia, l’universo si adegua immediatamente e sbaglia anche lui”.
(da Giorgio Manganelli, Pinocchio. Un libro parallelo. 2002)
Abano Terme, Aprile 2013